Il passato
Più conosco persone, più ascolto le loro storie, più mi rendo conto che del passato è opportuno parlare; ma non troppo. Il confine tra comprendere cosa è accaduto ed alimentare un alibi che rallenta il cambiamento è molto sottile. Non è difficile rendersi conto che la comprensione dei motivi di un qualsiasi problema non porta automaticamente alla guarigione, anzi. Se si rimane vittime di questa idea si rischia di alimentare una infinita ricerca di cause nell'illusione che trovandole si venga liberati. A volte questa ricerca sconfina nella fantasia e si allontana abbondantemente dalla realtà. Riflettere sulle cause deve servire a progettare l'intervento rivolto ad un cambiamento, deve rendere ragione dei motivi per cui qualcosa accade, ma non genera di per sè il cambiamento.
Ad esempio se ricevo critiche da parte di un genitore questo può produrre un condizionamento negativo il quale rende la stima di me insufficiente. Riflettere all'infinito sulle sue frasi infelici che ho sentito, parlare degli episodi che mi hanno fatto soffrire porterà a liberarsene? Evidentemente no, sarà un modo per rendere più attuali i ricordi sgradevoli e forse avrà come effetto proprio il contrario. Nell'immediato porterà ad un leggero sollievo, ma il condizionamento ricevuto rimarrà. In aggiunta se si attende di cambiare in questo modo non riuscirci farà sentire ancor più prigionieri del passato. Il condiizonamento infatti non ha sede a livello della coscienza, ma più in profondità. Razionalmente so che il mio genitore era in torto, so che non aveva ragione, ma continuerò ad essere influenzato dall'idea che all'epoca ha prodotto in me. Questa parte noncosciente non viene convinta dalle argomentazioni razionali.